Il mio primo incontro con il riso è stato nel grande refettorio della scuola materna il venerdì a pranzo dove, in deliziose coppette di vetro marrone, servivano dello squisito riso e lenticchie. Devo confessarlo, da bambino non amavo molto il riso più che altro perché lo associavo a quando avevo mal di pancia e poi a quell’età la maggior parte dei bambini ama nutrirsi di patatine fritte e “leccornie” varie e di certo non avrei saputo distinguere tra un carnaroli, un arborio o qualsiasi altro tipo di riso. Con l’età adulta le cose per fortuna sono cambiate ed ho cominciato a avvicinarmi e guardare il riso con occhi diversi, ho iniziato a conoscerlo meglio, ad apprezzarlo e ad amarlo.
Con più di 12000 anni di storia il riso oggi è parte integrante della nostra tradizione culinaria e negli anni ha accresciuto la propria immagine grazie anche ad una comunicazione più assidua e mirata che lo ha reso uno degli ingredienti più utilizzati dagli chef di tutto il mondo come ispirazione per la realizzazione di piatti ricercati e gourmet. Quando ho iniziato ad apprezzare il riso pensavo scioccamente che fosse tutto uguale e soltanto oggi capisco quante tipologie diverse ne esistano e quanto lavoro ed attenzione ci sia se si vuole ottenere un prodotto di elevata qualità.
La Riserva San Massimo sicuramente è riuscita nel proprio obiettivo, quello di ottenere un prodotto diverso da tutti gli altri, di grande qualità e purezza: il proprio Carnaroli.
Come spiegato sul sito web riservasanmassimo.net “La bontà del Riso Riserva San Massimo è data dalla continua attenzione e perseveranza della famiglia Antonello, che cerca sempre di migliorare ogni piccola cosa all’ interno della tenuta, scegliendo personalmente di coltivare solo nei campi più fertili, che sono in grado di darci la qualità estrema.
Ma il lavoro non finisce qui, infatti ogni passaggio che il riso fa in azienda è controllato e sempre in miglioramento, come l’essiccazione che viene effettuata solo a basse temperature, per non creare rotture nei nostri chicchi, che rimangono sempre compatti e molto gustosi. Il riso viene “Pilato” in piccoli lotti, per garantire ai nostri clienti maggior freschezza e il mantenimento di tutte le qualità organolettiche.”
Ambiente incontaminato, attenzione e cura durante tutto il processo produttivo e passione per il proprio lavoro non posso che dar vita ad un prodotto eccellente.
La verità è che cucinare il riso non è affatto semplice, ci sono tanti piccoli accorgimenti che si acquisiscono solo dopo tanti tentativi e sopratutto imparando da chi ha tecnica ed esperienza. Naturalmente l’ottima riuscita è data dal giusto equilibrio tra tecnica, creatività e tocco personale che in cucina come nella moda non possono e devono mancare.
Tuttavia ci sono delle regole basilari dalle quali non si può prescindere: la scelta di un riso di qualità come quello Riserva San Massimo, la tostatura del riso, la tipologia di brodo e sopratutto la tecnica di cottura.
Con un riso come il Carnaroli in purezza della Riserva San Massimo ho impiegato diversi giorni prima di capire la ricetta da realizzare; volevo in primis che il vero protagonista fosse il riso e alla fine la scelta è stata per il risotto cacio e pepe.
Un omaggio alla città che mi accoglie da più di dieci anni, ad un riso gourmet e alla tradizione rivisitando uno dei piatti più conosciuti della capitale che solitamente non si accompagna al riso.
Per la ricetta mi sono ispirato e documentato da uno degli chef più talentuosi e famosi della cucina italiana: Antonino Cannavacciuolo cercando di onorare la ricetta e la purezza del Carnaroli Riserva San Massimo.
Un omaggio alla città che mi accoglie da più di dieci anni, ad un riso gourmet e alla tradizione rivisitando uno dei piatti più conosciuti della capitale che solitamente non si accompagna al riso.
Per la ricetta mi sono ispirato e documentato da uno degli chef più talentuosi e famosi della cucina italiana: Antonino Cannavacciuolo cercando di onorare la ricetta e la purezza del Carnaroli Riserva San Massimo.
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